2005
La quinta edizione
del Festival della Tradizione di Praiano prevede sette
appuntamenti musicali ben differenziati, in rappresentanza di
altrettante culture regionali italiane o di particolari aspetti di
esse. Sulla suggestiva terrazza della Piazza Antico Seggio si
alterneranno musicisti provenienti dalla Campania, dalla Puglia,
dal Molise, dal Friuli e, per la prima volta in costiera
amalfitana, dalla Sardegna. In controtendenza rispetto alla
pletora di manifestazioni occasionali che solitamente riempiono la
vita culturale vacanziera delle località balneari, a Praiano è
ancora una volta di scena la sostanza, e non la sterile e costosa
apparenza. Il pubblico di Praiano, durante le precedenti edizioni
del Festival, salutate con crescente entusiasmo, ha capito ed
apprezzato tutto ciò e segue con interesse i percorsi proposti.
Rimandando ai testi
di presentazione dei singoli concerti per la conoscenza di origini
e significati, voglio qui chiarire i criteri che mi hanno guidato
nella scelta dei gruppi.
Considerando che
sono passati cinquant’anni dalla ‘nascita’ del folk revival, e
quindi che non sono più attivi gli autentici rappresentanti della
‘riproposta’, ho cercato di individuare, nell’ormai ampio panorama
dell’offerta musicale folk, quei musicisti e quella musica che
rappresentassero una genuina ‘proposta’, basata su ciò che è
dentro l’evento musicale tradizionale e non su ipocrite pretese
puriste o su confusi concetti di contaminazione e, peggio ancora,
di funzioni sociali della cultura tradizionale.
In questo senso è
esemplare il progetto presentato dal gruppo Tarantula Garganica,
il quale s’inserisce nello stanco filone del tarantismo levantino
ma apporta nuova vitalità semplicemente scavando con grande
rispetto all’interno di quel repertorio che ha subìto, e subisce
quotidianamente, maltrattamenti di ogni genere. Senza
rivendicazioni o anacronistici filologismi, il gruppo rende
coerente e comprensibile ogni testo, allontana ogni inutile
virtuosismo, non cerca l’originalità ad ogni costo e, in ultimo,
arrangia e suona con misura, gusto e vera passione. In questo modo
restituisce tutta la sacralità della musica popolare garganica,
rimettendola in gioco senza disastrose sovrapposizioni di
‘personalità’.
Altro aspetto
fondamentale da me ricercato è la capacità di reinventare secondo
lo spirito e i modi della tradizione, ma senza stravolgere le
forme e i contenuti in nome di un giovanilismo culturale che, così
come il successo mediatico, non sempre è garanzia di sincerità e
validità.
Antonio Porpora
Anastasio
direttore artistico
Carantàn
LA CROSERE DAL
NUJE
Nicoletta
Sedrani - voce, percussioni
Glauco
Toniutti - voce, violino, mandolino,
cornamusa, cucchiai
Stefano
Durat - armoniche diatoniche
Andrea
Barachino - chitarra
Martina
Bertoni - violoncello
“La crosere dal nuje”
in dialetto friulano significa “il crocevia del nulla”, mentre il
termine “carantàn” indica una monetina in rame del valore di
cinque centesimi, usata inizialmente in Carinzia alcuni secoli fa
e che oggi nella lingua friulana ha assunto il significato di
“modesto”. Da qui il detto “vali meno di un carantàn”, cioè “vali
meno di nulla!”
Partendo dalla
musica celtica, bretone, irlandese e scozzese, il gruppo mira al
recupero e alla rielaborazione della musica friulana, dal
Cinquecento fino all’epoca contemporanea, con l’aggiunta di
composizioni originali in linea con il particolare stile
tradizionale della zona, anche se “rivitalizzato” grazie
all’apporto di timbri e modi lontani che finiscono col diventare
la cifra distintiva del gruppo. Il repertorio dei Carantàn
comprende canti tradizionali friulani e italiani che parlano di
emigrazione, di guerra, di donne abbandonate, di satira, e danze
tradizionali dell’antica Europa: contraddanze, polke, scottish,
quadriglie, manfrine, furlane. Altra danza caratteristica è il
ballo dell’orso, che richiama l’atmosfera delle fiere e dei
mercati che si svolgevano in tutto l’arco alpino, dove una delle
maggiori attrazioni era costituita da un orso incatenato,
catturato ed addestrato da piccolo a saltellare sui carboni
ardenti, con un anello inserito nelle narici, che ballava
goffamente al suono di una semplice melodia intonata da una
zampogna o al ritmo di un tamburo. Da qui un altro detto
tradizionale friulano: “no sta far il bal da l’ors” (non cercare
di fare ciò che non sai fare).
Il gruppo ha al suo
attivo due compact disc (Trois, 1997; Il bal da l’ors, 2001) e
alcune partecipazioni a compilation di musica etnica (Tutti i
colori del Folk, 1995; Doimil, Music from Friuli, 1999; Tribù
Italiche: Friuli V.G., 2001; Keltica 055, 2002).
Faraualla
BIRICOROBIRITOUR
Paola
Arnesano - voce
Loredana
Perrini - voce
Gabriella
Schiavone - voce
Teresa
Vallarella - voce
Pippo Ark
D’Ambrosio - percussioni
Cesare
Pastanella - percussioni
Gennaro
Mele - fonico
“Faraualla” è una
delle cavità carsiche più profonde presenti sull’altopiano
murgiano, a nord-ovest di Bari. Questo luogo, una voragine di
particolare suggestione che si apre fra distese di grano, pascoli
e masserie, ha da sempre ispirato dicerie e credenze popolari. E’
un nome di origine incerta la cui pronuncia, nel dialetto
originario, riempie la bocca di voce e, così come quando una
parola dimentica il suo significato per ritornare suono puro,
primitivo e potente, questa nuova percezione accresce la forza
della vocalità nell’istinto del canto.
Il
quartetto vocale Faraualla è nato nel 1995. Le cantanti del
gruppo, provenienti da ambiti musicali differenti,
utilizzano la voce come uno strumento,
attraverso la pratica della polifonia e la profonda conoscenza
delle possibilità espressive vocali. Il raffinato ed efficace
apporto delle percussioni arricchisce e caratterizza il “sound”
dell’ensemble rendendolo inimitabile.
Il repertorio del
gruppo si basa su composizioni originali, che spesso si sviluppano
da una matrice improvvisativa, e su brani tradizionali da cui
emergono con forza le comuni radici culturali. Si tratta di
complesse teatralizzazioni sonore, frutto di una grande capacità
di sintesi fra culture, generi e stili diversissimi fra loro.
Un’operazione sicuramente per ‘palati fini’, che comprende
linguaggi musicali dal medio evo ad oggi, dallo Zecchino d’oro
alla sperimentazione elettronica, il tutto filtrato da
un’intelligenza musicale che non lascia dubbi sulla validità della
ricerca.
In
questo nuovo concerto, un viaggio musicale sincretico e sinergico
con momenti di forte impatto emotivo e sonoro, per la prima volta
s’intravedono elementi semantici di immediata comprensione.
Faraualla ha al suo attivo due splendidi compact disc: Faraualla,
1999; Sind’, 2002.
Tenores Gòine
BOCHES E SONOS DE SARDINNA
Antonello
Mura - boche, mesuboche
Francesco Pintori - boche, mesuboche
Giovanni Mossa - contra
Gavino Murgia - bassu, launeddas, sulittu
Franco Melis - launeddas
Giampaolo Piredda - organetto diatonico
Il gruppo di canto
Tenores Gòine di Nuoro è nato nel 1997 e prende il nome da un
toponimo di origine nuragica, proprio di una zona ai piedi del
monte Orthobene (oggi Balubirde) identificata quale luogo dei
primi insediamenti della città. Il gruppo ha tenuto concerti in
tutta Italia e in molti paesi europei (Finlandia, Austria,
Germania, Slovenia, Polonia, Spagna, Corsica etc.), ha avuto
esperienze ‘fusion’ con gruppi di matrice pop e jazz ed ha curato
master class sul “canto a tenore” al Conservatorio “J. Sibelius”
di Helsinki. E’ di prossima uscita il suo primo compact disc,
mentre varie registrazioni già compaiono in compilation di musica
Sarda.
La formazione
vocale, composta dalle tradizionali quattro voci, esegue i canti,
profani e religiosi, secondo i canoni di quella che è considerata
la più antica polifonia del Mediterraneo.
Le launeddas,
strumento ‘endemico’ della Sardegna, sono da considerare una sorta
di fossile sonoro. La loro età è attestata da un bronzetto
nuragico, che rappresenta un suonatore di launeddas ittifallico,
risalente a circa 3.500 anni fa. La struttura armonica di questo
strumento riporta la stessa sovrapposizione delle voci del canto a
tenore. Costituito da tre canne suonate contemporaneamente con
l’impiego della respirazione circolare, le launeddas sono
considerate il primo strumento polifonico ad ancia del
mediterraneo. Il repertorio delle launeddas comprende generi assai
distanti fra loro, come i balli tradizionali e la musica religiosa
popolare.
L’organetto è uno
strumento d’origine europea, importato in Sardegna alla fine
dell’ottocento, rapidamente assurto a strumento principe della
musica tradizionale sarda grazie al particolare stile “alternato”
sviluppato dagli innumerevoli esecutori-virtuosi delle diverse
danze presenti in ogni zona dell’isola.
‘E
Zezi gruppo operaio
ZEZI NO ZOZA
Irene Lungo
- voce
Matteo D’Onofrio - voce
Sebastiano Ciccarelli - voce, tammorra
Vincenzo Ciccarelli - voce, tammorra
Angelo De Falco - percussioni popolari
Riccardo
Veno - fiati
Francesco
Migliaccio - fisarmonica
Gaetano
Caliendo - chitarra
Gianni Mantice - chitarra
Vincenzo Salerno
- basso
Roberto
Sansone - batteria
Nel 1974, intorno ad
un gruppo di lavoratori dell’Alfasud di Pomigliano d’Arco, nasce
un collettivo musicale e teatrale per cantare le lotte della
fabbrica sui ritmi delle tarantelle e delle tammurriate. E’
l’inizio del gruppo operaio ‘E Zezi, la più straordinaria
esperienza di fusione tra musica popolare e canzone politica mai
avvenuta in Italia. Rappresentanti dell’altra faccia della
tradizione popolare campana, in contrasto con la musica popolare
colta urbana ma molto vicini alla tradizione contadina e rituale,
in quest’epoca di rimescolamento di linguaggi e di contenuti la
loro coerenza resta un riferimento. ‘E Zezi sono come gli antichi
guaritori, un po’ medici, un po’ illusionisti. Da trent’anni sono
in guerra contro il marciume del mondo, e la loro rabbia è
contagiosa.
Il titolo del
concerto, assai emblematico, è una locuzione che riunisce una
grande varietà di possibili interpretazioni. Il termine “Zezi”
deriva dal nome di una delle protagoniste della rappresentazione
popolare campana del tempo di carnevale: “La Canzone di Zeza”.
Zeza, diminutivo di Lucrezia, è il prototipo della ruffiana, e
l’espressione “fa ‘o zeza” indica chi, con furbizia ed insistenza,
cerca di ottenere favori immeritati. Allo stesso modo, i verbi
“zezià” o “zezzà” descrivono il far moine, smancerie,
leziosaggini. “Zoza”, invece, deriva dall’italiano “zozza”, che a
sua volta è la deformazione popolare di “suzzacchera”.
Letteralmente, quest’ultimo termine significa “agro-dolce” e
indica una bevanda medicinale a base di aceto e zucchero ma, fra
gli altri significati, attribuiti localmente o figurati, abbiamo:
“bevanda composta da una mistura di liquori scadenti”,
“accozzaglia di gente di bassa estrazione sociale”, “rimprovero
brusco e violento”, “cosa lunga e noiosa”, “feccia, rimasugli,
scarto”. Ognuno scelga il significato che preferisce…
Tarantula garganica
QUELLE STRETTE VIE
DEL SUD
Antonio
Silvestri - voce, fisarmonica
Peppe
Totaro - voce, chitarra francese
Matteo
Ortuso - voce, chitarra battente
Andrea
Stuppiello - tammorra, percussioni
Carmela Taronna, Nicoletta La Torre
- ballo
“Tarantula Garganica”
è il titolo di un famosissimo pezzo musicale, simbolo delle
tradizioni popolari pugliesi, che evoca subito il suono e il ritmo
della Tarantella, la danza magico-rituale che rappresenta la più
alta ed efficace espressione musicale del sud Italia.
Il gruppo omonimo,
formato da giovani musicisti di Monte Sant’Angelo, è nato in
seguito ai risultati di un accurato lavoro di ricerca musicale
svolto con liliale entusiasmo intervistando gli anziani
testimoni-portatori dei centri storici dell’intera area garganica,
dove la tradizione musicale popolare è ancora viva nonostante
l’indiscriminato saccheggio e lo scriteriato sfruttamento di cui è
stata oggetto negli ultimi trent’anni.
Il gruppo impiega
esclusivamente strumenti tradizionali, ma con una compostezza, una
solidità ed un’inventiva che lo collocano molto al di là della
semplice “riproposta”. In questo caso, fisarmonica, chitarra
francese, chitarra battente, castagnole e tammorre non sono il
pretesto per l’ambientazione sonora di un evento folclorico, ma
restituiscono la forza originaria di un mondo poetico che ha
ancora molto da dire, se esibito ed ascoltato con umiltà. Ancora
poco noto, Tarantula Garganica ha partecipato ai più importanti
festival di musica tradizionale pugliesi (Gran Falò di Orsara di
Puglia, Rassegna Folk Lucerina, Carpino Folk Festival, San Marco
in Festival etc.) ed ha al suo attivo due splendidi compact disc:
Sope a ‘na muntagne, 2004; Quelle strette vie del sud, 2005.
Kamastra e Qifti
Arbëreshë
VALLE VALLE
Chiara Galasso
- voce
Costanza
Ionata - voce
Antonella
Pelilli - voce
Monia
Pelilli - voce
Cinzia
Plescia - voce
Michele
Galasso - voce, tastiere
Cristiano
Iacovelli - voce, chitarra acustica
Pietro
Iacovelli - chitarra acustica, mandolino
Giancarmelo
Castelluccio - basso
Antonio
Terzano - batteria
Tonino
Salvador Conte - percussioni
“Arbëreshë” è il
nome degli albanesi che ripararono in Italia a partire della
seconda metà del 1400, a causa dell’invasione turca in Albania.
Altri giunsero in Italia al seguito di Giorgio Castriota
Skanderbeg, il quale soccorse Ferdinando d’Aragona in lotta contro
gli Angioini che volevano impadronirsi del Regno. I baroni che si
ribellarono al re furono definitivamente sconfitti dallo
Skanderbeg nella famosa battaglia di Orsara, nel 1462. I feudi
ricevuti in dono dal re costituirono i primi insediamenti
arbëreshë in Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Molise.
Identificati in passato come “gli albanesi d’Italia”, da qualche
anno è stato recuperato il nome originario “arbëreshë” per
distinguerli dalla nuova realtà albanese che si va costituendo con
le recenti immigrazioni seguite al crollo dei regimi dell’est
europeo.
Il gruppo corale
“Kamastra” nasce a Montecilfone nel 1995, intorno ad un lavoro di
ricerca sulle espressioni musicali tradizionali arbëreshë, e
propone il materiale delle ricerche coniugando i canti e la musica
delle antiche “vallje” con i ritmi e gli arrangiamenti moderni del
gruppo strumentale “Qifti Arbëreshë” di Portocannone. “Kamastra” è
un termine che non ha un corrispettivo in italiano e sta ad
indicare la catena del caminetto alla quale viene agganciato il
paiolo. La gente di Montecilfone attribuiva alla kamastra anche
significati apotropaici, infatti, nelle giornate di temporale in
cui la grandine costituiva un serio pericolo per i raccolti, le
fanciulle ancora nubili gettavano nella strada la kamastra e un
pugno di sale doppio per allontanare le nubi ed evitare la
distruzione dei raccolti. “Qifti”, letteralmente “il falco”, è il
simbolo dell’origine del popolo arbëreshë: il gruppo albanese che
fondò i paesi albanofoni del Molise veniva da un luogo detto “Mali
i Qiftit” (Monte del Falco).
Mario Salvi
TARANTERÌA
Mario Salvi
- voce, organetto
Gisella Di
Palermo - voce, castagnette
Antonio
Esperti - clarinetto
Raffaele
Inserra - tammorra, tamburello
«Taranterìa è il
luogo magico dove le tarantelle, tradizionali e d’autore, si
incontrano con l’organetto, strumento compagno del vento e del
sole, che il respiro della terra rende forte nella voce, e, nel
ritmo, simile all’acqua che corre impaziente verso il mare.
Taranterìa è anche il punto dove suoni, ritmi e passi di danza dei
tanti Sud d’Italia convergono, dove una molteplicità di linguaggi
musicali regionali si accomuna nell’interpretazione
dell’organetto, strumento di apparentamento e scambio culturale
tra le genti del sud. Taranterìa è, infine, spazio sonoro e
ritmico illimitato per uno spettacolo che invita alla più libera e
liberatoria tra tutte le danze: la tarantella».
Mario Salvi è
presente sulla scena della musica tradizionale fin dal 1977,
quando svolse le sue prime ricerche musicali nel Lazio e in
Campania. Il suo interesse si è rivolto prima agli strumenti
tradizionali a percussione e poi, dal 1979, alla fisarmonica
diatonica e bitonale tradizionalmente nota come “organetto”. Da
allora, in pochi anni, è divenuto uno dei migliori interpreti
dell’organetto italiano. Da venticinque anni svolge un’intensa
attività concertistica ed ha suonato, sia da solista che in vari
gruppi musicali, in Italia e in molti altri paesi europei. Dal
1981 si dedica all’insegnamento dell’organetto ed ha tenuto corsi
e seminari in tutta Italia, in Spagna e in Olanda. Dal 2003 è
docente di organetto al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce,
nell’ambito del corso sperimentale triennale di musica popolare.
Ha al suo attivo quattro compact disc (Effetti Personali, 1988;
Caldèra, 1997; Il mare di lato, 2002; Taranterìa, 2003) e numerose
partecipazioni e collaborazioni discografiche. Nel 2001 ha creato
il sito web www.organetto.it, il primo portale di informazioni
interamente dedicato all’organetto in Italia.
Significativa, in
Taranterìa, è la presenza del suonatore di tammorra e tamburello
Raffaele Inserra, di Gragnano, uno fra i più autentici e
rappresentativi interpreti della tradizione musicale popolare
campana, profondo conoscitore dei vari stili esecutivi delle
diverse tammurriate presenti nelle zone dove tale pratica rituale
è ancora viva, nonché abile e sensibile costruttore di strumenti a
percussione popolari dal timbro caratteristico e dalla
straordinaria resistenza.
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